Vasco Brondi ai Magazzini Generali e il Suo Segno di Vita

Vasco

Si parla sempre della potenza della musica, della capacità di trasmettere sensazioni, di entrare nel cuore delle persone e travolgerle anima e corpo.

La musica unisce, fa divertire, ci fa ballare, ci fa piangere e ridere, e ci circonda in ogni angolo, dalla sala d’attesa dei dentisti alle piazze: quando c’è musica la vita si riempie. Ma questa potenza risiede nella melodia, quanto nelle parole e nel messaggio. Così, si potrebbe dire che i musicisti, chi fa musica o, prima di tutti i cantanti, abbiano per le mani un grande potere. Che non è quello di avere sotto la loro orbita migliaia e migliaia di persone, (chiaramente già implicito almeno nel mondo contemporaneo), ma è quello legato indissolubilmente a una grande responsabilità. Avere un potere significa avere una responsabilità.

Lo sa bene Vasco Brondi che, nella serata di ieri, ha portato la sua immensa cultura sul palco dei Magazzini Generali a Milano, regalando una bellissima prova di come, attraverso la melodia, le parole arrivino dritte alla mente e al cuore (e senza per forza rischiare di essere banali). Nessuna parola è scontata o fuori posto perché, quando veicolare un messaggio diventa importante, diventa altrettanto importante anche il messaggio da mandare. Così, distante anni luce dai trapper odierni, l’amore viene raccontato nella sua forma più sana, a volte triste, ma senza la tossicità di cui gravano i brani machisti che vanno di moda.

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tra riflessioni e voglia di vita

Tra musica e riflessioni, Brondi trasforma il concerto in un’esperienza totalizzante che trasmette voglia di vita da tutti i pori. Mentre invita a godersela, “illumina tutto” il palco di un entusiasmo coinvolgente al punto che i testi, difficili da cantare, risuonano da tutte le voci presenti. Una danza infinita di percussioni e chitarre immersa nell’atmosfera di un MacBeth nella Nebbia: “Il grande regista Michelangelo Antonioni, che era di Ferrara, disse che quando c’era la nebbia che non vedeva a un passo andava in piazza perché poteva essere altrove”.

Noi nella nebbia ci sentiamo bene, con la Luna sui sentieri e sui Destini Generali, mentre risuona quel Fortini, e Borges tra una canzone e l’altra: “Ai miei concerti c’è un pubblico che direi simile a quello del “Salone del Libro” di Torino”, dice il Vasco che della vita cerca un segno e non il senso. Così dai suoi concerti ne esci appagato, e pieno di quel senso di sazietà che provi quando hai appena imparato qualcosa di nuovo. Un messaggio prezioso, in grado di farti sentire in piedi nonostante quello spaesamento dei ventenni e ormai trentenni, di fronte all’instabilità del futuro che canta con “Nel profondo Veneto” concludendo lo spettacolo, portandoci a ballare e a urlare a squarcia gola che “non lo diremo a nessuno”. Non lo diremo a nessuno quello che succede sotto la luce di quel palco, perché vale la pena viverlo.