Influencer culture, overconsumption e deinfluencing

è ora di riflettere sul nostro approccio al consumo

Ogni fenomeno è composto da diverse fasi: l’ascesa, la stabilizzazione – con tutto ciò che comporta nel bene come nel male – e infine la caduta: in quale stadio si trova nel 2024 l’influencer culture? Si sente parlare sempre di più di divario sociale, una frase ormai detta e ridetta, quasi ridondante: i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

La moda e il beauty come ben risaputo, sono tra i fattori più inquinanti e meno sostenibili a livello globale, e i vari gruppi più importanti dovrebbero starsi impegnando a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 – progetto costituito da 17 Macro Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, identificati all’interno di un più ampio programma d’azione redatto in 169 punti da raggiungere entro il 2030, riguardanti criteri ambientali, sociali ed economici, sottoscritto dalle Nazioni Unite e approvato dall’ONU – .

Fast Fashion e Unboxing

Nel frattempo però, sui vari social spopolano haul di capi fast fashion e non, video di unboxing di decine e decine di scatole contenenti centinaia di prodotti, regalati – “gifted by” così da non sembrare un ADV – dai vari brand (non serve fare nomi, la lista sarebbe troppo lunga) girati da content creator più o meno famosi.

E i followers-spettatori di queste celebrità dei social le hanno sempre seguite forse un po’ più perché anelanti lo stile di vita che queste mostrano di avere, piuttosto che per i loro reali talenti. E se la content creator X utilizza il prodotto labbra Y (che non ha acquistato) allora il follower acquisterà questo prodotto non per forza per necessità o per togliersi uno sfizio, ma per emulare la prima e convincersi, almeno per qualche minuto, di vivere la sua stessa vita, dimenticando la sveglia alle sette e le bollette da pagare.

influencer

Blockout: la rivincita del “popolo”

Fino a poco tempo fa, soprattutto negli USA dopo il Met Gala si è imposto un movimento chiamato Blockout, in cui gli user delle varie piattaforme – sempre più provati dalla qualità della vita che continua a peggiorare e dai salari minimi che continuano a non sopperire il carovita – hanno deciso di bloccare in massa vari personaggi famosi, trovando squallido il loro silenzio riguardo le varie crisi umanitarie che attraversano questi anni (ad esempio qualche genocidio qua e là) e la loro continua ostentazione di lusso sfrenato.

“Se il popolo ha fame, che mangino brioches”, ha scelto come audio di un post Tik Tok la content creator Haley Baylee, presenziando all’occasione come cosplay di Maria Antonietta. E da un certo punto di vista, è stata una fortuna – non per lei, chiaramente – averlo fatto, perché è stato proprio questo insieme di decisioni sbagliate, questa totale nonchalance nei confronti della vita vera e delle persone vere ad accendere la scintilla che ha fatto scoppiare un vero e proprio Blockout.

Le persone comuni (il target della parte maggioritaria dei content creator) non si fida più di loro, e la fidelizzazione del seguito è una delle parti fondamentali di questo lavoro. I follower si avvicinano, affezionano e fidano di un determinato personaggio anche perché lo schermo social è sempre sembrato meno artefatto della classica pubblicità televisiva o cartacea.

E così arriva il deinfluencing

I grandi gruppi, avanti anni luce e muniti di team di capacissimi marketers hanno visto da anni l’ampio range di monetizzazione di questo fenomeno: prendi un content creator, regalagli il tuo nuovo prodotto e raggiungerai il triplo della viralità – con costi pari a zero – invece di investire su campaign e simili, sicuramente bellissime, ma meno convenienti rispetto ad un video postato online da un’influencer con seguito importante che prova il tuo mascara definendolo “il prodotto dell’anno”; e per un bel po’ di tempo ha funzionato.

Ma è diventato tutto talmente ovvio che le persone comuni sopracitate si sono accorte che ormai in quasi ogni video c’è uno sponsor, un ADV, un gifted by, anche se certe volte maldestramente nascosti. Si sono accorte di come, quelli che una volta seguivano e magari ammiravano, siano diventati pubblicità viventi. E si sono accorte, specie in questo periodo di crisi economica e lavorativa, di non aver bisogno di questa mole assurda di prodotti che non fanno altro che apparire sui loro schermi, tanto da far emergere come risposta un nuovo fenomeno, il deinfluencing: un forte incoraggiamento a limitare gli sprechi e gli acquisti non necessari, e a comprare dotati della giusta consapevolezza finanziaria e ambientale.