In the mood for love: una sublime poesia visiva
Scritto e diretto da Wong Kar-Wai – un autore simbolo degli anni Novanta – In the mood for love è uscito nel 2000. Dalla messa in scena delicata e dalla presenza di attori brillanti, questo film è famoso soprattutto per le musiche, composte da Shigeru Umebayashi:particolarmente ipnotizzante è il Yumeji’s Theme, ricorrente in numerosi momenti del film ed enfatizzato dai ralenti che mostra i due personaggi principali intenti a fare la stessa cosa, come fumare o mangiare.
Immersi nella Hong Kong degli anni Sessanta, Su Li-zhen (Maggie Cheung) e Chow Mo-Wan (Tony Leung Chiu-Wai) si trasferiscono in due appartamenti adiacenti. Apparentemente felici agli occhi dei padroni di casa, i protagonisti sono in realtà soli e pensierosi senza i loro coniugi, fuori entrambi per lavoro. Scopriranno in realtà che i loro rispettivi consorti sono amanti tra loro e questo li porterà ad avvicinarsi sempre di più, a condividere quella solitudine lacerante e a cercare di comprendere i motivi di quel tradimento, tentando di non destare sospetti attorno a loro.
Un amore che si muove tra sentimenti e apparenze
In the mood for love è come una coreografia in cui i “ballerini” si muovono sinuosamente,guidati da una regia stilizzata che risponde agli atteggiamenti dei due (non) amanti. La macchina da presa si muove con delicatezza tra gli spazi limitati dei due appartamenti o tra le scale, dove Su e Chow salgono e scendono di continuo. Proprio in questi spazi i due si trovano e si comprendono, si cercano tra i muri che li separano e vi si guardano attraverso. Senza averne coscienza cominciano a curarsi e a consolarsi, fino a quando la palpabile attrazione non diventa necessità.
Il film gioca molto sui contrasti: i traditori e i traditi, l’amore e la disonestà, la forza della morale e quella dell’attrazione. I protagonisti sono infatti speculari a due figure senza volto, esistenti in funzione di questi e fulcro dei tormenti di Su e Chow. Il loro avvicinamento li porterà a desiderare ciò che prima non osavano: una rottura che li porti via da lì. Finiranno con l’amarsima mai come vorrebbero perché quelle convenzioni sociali e quel timore di emulare i loro traditori, non porta altro che ad allontanarli.
Il loro amore è narrato in chiave poetica, emozioni ed azioni celate, smascherate solo da gesti e sguardi silenziosi. Infatti la bellezza incontrastata di questo film è proprio l’assenza, la passione aumenta come la mancanza di un contatto, colmata solo dalla musica che accompagna la crescita e l’impossibilità di questo amore, diventando più linguaggio di quello che loro osano rivelarsi.
Un finale ideale per il grande schermo ma inadeguato per l’amore
Chow, nuovamente solitario, si aggira tra le rovine del tempio di Angkor Wat in Cambogia e sussurra qualcosa ad un foro in una parete, per poi coprire la fessura con del fango. È il segreto di cui parlava anni fa con Su: “Nel passato se uno aveva un segreto e non voleva assolutamente che qualcuno lo sapesse, lo sai che faceva? Andava in montagna e cercava un albero, scavava un buco nel tronco, e vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango, così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno”.
Così finisce In the mood for love: se nella vita reale quell’amore non ha modo di esistere, Chow lo affida alla dimensione inafferrabile dell’eternità, dove le convenzioni sociali non ci sono e dove l’amore bisbigliato vive in tutta la sua compiutezza. È un finale profondamente nostalgico e malinconico, dove il sussurro conferma un amore cresciuto tra il sempre e il mai.
Laureata in Scritture e Produzioni dello Spettacolo e dei Media. La sua formazione accademica le riconosce determinazione, curiosità e creatività. È amante dell’arte, in tutti i modi in cui può essere prodotta. Con la passione per la scrittura e il cinema, è proiettata nella costruzione di una carriera nel mondo dello spettacolo.