Icone del Quotidiano Femminile nel Cinema

Da Andy Sachs a Pretty Woman: la bellezza della normalità

Eroine di tutti giorni, riportano sullo schermo l’esatto contrario della “femme fatal”, ma con un appeal altrettanto forte: se non altro, riescono sempre a conquistare. Dimostrazioni più esplicite di una bellezza non omologata, distante da quella delle “tacchettine” con cui si trova a confrontarsi Andy Sachs ne il Diavolo veste Prada. Così sbattono in faccia ai soliti cliché la loro brillante normalità in cui ogni ragazza, non importa che abbia una 38 o una 42, può vedersi riflessa, come pure ogni donna che a 30 anni “non ha ancora varcato la soglia dell’altare”. Ecco chi sono le vere icone del mondo reale, da Andy Sachs a Bridget Jones, da Amelie a Pretty Woman: testimonianze viventi di come tutti i difetti che ci caratterizzano rendono ognuna di noi bella, perché unica.

Andy Sachs: viva la personalità acqua e sapone

Andy Sachs
Anne Hathaway in Il diavolo veste Prada (D.Frankel, 2006)

Sulle note di Suddently I See, Andy si prepara per affrontare la sua prima giornata di lavoro, incurante dell’abbigliamento che indosserà (a partire dall’intimo) in una perfetta contrapposizione con le sequenze che inquadrano, invece, le altre donne nella loro routine mattutina: mutande bianche di cotone vs slip con merletto abbinate al reggiseno, e poi autoreggenti, piegaciglia, tacchi a spillo, scelta accurata degli orecchini per completare l’outfit e rossetto rosso.

Ad Andy basta il burrocacao, una sciarpa e una ventiquattro ore probabilmente arrivata a lei per generazioni. Insomma, un vero pesce fuor d’acqua in un mondo in cui i carboidrati sono vietati, dominato dalla perfida Miranda Priestly. Indimenticabile il suo maglioncino color ceruleo che, seppur vuole gridare al mondo “che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso”, finisce per essere una scelta non “fuori dalle proposte della moda”. Per quanto quello straordinario e ordinario universo, che Andy non capirà mai fino infondo, arrivi a trascinarla tra stivali di Chanel e le luci della Parigi Fashion week, la personalità “acqua e sapone” vince, e lo fa gettando il telefono nella fontana.

Bridget Jones: l’imperfezione che ci conquista

Bridget Jones
Renée Zellweger in Il diario di Bridget Jones (S. Maguire, 2001)

Tutte, guardando Il diario di Bridget Jones ci siamo trovate a pensare “ma sono proprio io”. Schietta, naturale, sbadata e anche un po’ goffa, ecco chi è Bridget, irresistibile in tutte le sue imperfezioni. Il suo diario è una lista di buoni propositi disattesi: Bridget Jones è ognuna di noi quando si consola con un calice di vino al suono di “All by myself”, dopo aver scritto sulla lista “non bere più di 14 alcolici alla settimana”. Nessun glow up per lei, che non è una Andy Sachs, ma continua a portare orgogliosa i suoi “chiletti di troppo”, riuscendo comunque a conquistare non solo quello scapolo da urlo di Hugh Grant, ma anche l’affascinante Colin Firt (e senza smettere di fumare, né di fare uscire dalla bocca tutto ciò che pensa).

Capelli quasi sempre spettinati o raccolti in modo improvvisato in una acconciatura anni ’90, trucco nude con blush sulle guance in stile Heidi: la Frazzled English Girl che lascia vincere la semplicità, d’altronde, anche un paio di mutande contenitive può accendere la passione. Essere pratiche e casual ci piace: maglioni a treccia, sciarpe, pantaloni in pile, collant, cardigan e morbide scarpe après-ski, ma anche gonne “davvero molto corte”, stivali con il tacco e il bra sopra la t-shirt (magari senza imbottitura e ferretto).

Amélie: il suo privato e favoloso mondo

Amélie
Audrey Tautou in Il Favoloso mondo di Amélie (J.P. Jeunet, 2001)

Una giovane ragazza con un gusto pronunciato per i piccoli piaceri della vita: ad Amélie piace immergere la mano in un sacco di legumi, spaccare la crosticina di una creme brûlé con la punta del cucchiaino e far rimbalzare sassi sull’acqua del Canal Saint Martin. Siamo un po’ distanti dalle personalità forti menzionate fin ora: qui a trionfare è la timidezza, la riservatezza, la paura di emergere. Amélie è una ragazza semplice, che si impegna per aiutare gli altri senza uscire dalla sua ampolla, un po’ come l’uomo di vetro che ha paura di varcare la porta di casa.

I capelli tagliati cortissimi e nerissimi in contrasto la carnagione chiarissima e i suoi outfit, che abbinano sempre gli stessi colori, lasciano intendere semplicità d’animo abbinata a una grande insicurezza. Un’insicurezza che la rende prigioniera delle sue ansie e paranoie, al punto che per la paura di vivere una situazione, con tutte le sue conseguenze, preferisce non affrontarla affatto. Ma persino noi facciamo il tifo per lei, e speriamo fino all’ultimo secondo che apra la porta a Nino Quincampoix. È per questo che film come Il Favoloso mondo di Amélie, che mettono al centro la ragazza più timida e semplice del mondo, ci fanno sentire un po’ parte di una storia, la nostra storia, di cui impariamo a diventare le protagoniste.

Pretty Woman: l’abito non fa la donna, la sicurezza si

Pretty Woman
Julia Roberts in Pretty Woman (G. Marshall, 1990)

Tu fammi un solo esempio di una che conosciamo alla quale è andata bene” chiede Vivian a Kit quando la favola con il suo “principe azzurro” sta per finire. E noi fan affezionati di quella splendida commedia con Richard Gere e Julia Roberts non possiamo che sorridere pensando già alla risposta di Kit: “quel gran c*o di Cenerentola”. Eppure, in questo caso c’è il lieto fine anche per Vivian. La protagonista di questa storia è, però, una prostituta e la società è un circolo esclusivo di chi, convinto di essere capitato dalla “parte giusta” si sente in dovere di giudicare e attaccare il “diverso”.

Così il suo mini-dress diventa fonte di imbarazzo, a partire dai primi sguardi nell’hotel in cui alloggia Edward, che prontamente le allunga il suo cappotto, alle commesse del negozio che con parole e atteggiamenti fanno capire a Vivian di essere nel posto sbagliato. Vivian ingloba in sé ogni sensazione di disagio che ciascuna di noi ha provato nella propria vita, sempre per lo stesso errore di dare più importanza al parere di chi ci osserva, piuttosto che al nostro e, allo stesso tempo, la voglia di un riscatto che alla fine, in un modo o nell’altro, ci fa ritornare in quel negozio con una sicurezza trionfante.