D.P. DOPPIE PAGINE SU ANNA PIAGGI

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Era così, frugando tra le bancarelle dei mercatini in giro per il mondo che Anna Piaggi scovava i suoi “pezzi” – come amava definirli – iconici: abbigliamento, accessori, musica, libri, oggetti, cose che andavano a riempire il suo wunderkammer – camera delle meraviglie -, che poi si incarnava nella sua figura, dalla quale era impossibile prescindere persona e personaggio.

Furono il matrimonio con il fotografo Alfa Castaldi e l’incontro con il collezionista di moda Vern Lambert a Londra a portarla ad appassionarsi ai cimeli di epoche passate. È così che conia il “Vintage”, di cui ancora oggi è il simbolo, e che segna profondamente il suo stile, tanto unico quanto iconico.

Il suo guardaroba, un patrimonio culturale di inestimabile valore, era un miscuglio di capi etnici e haute couture, pezzi unici e stravaganti che customizzava e mixava arrivando ad indossare non outfit, ma concetti. Concetti che poi si riversavano nella sua scrittura, ironica e pungente, mai banale, caratterizzata da un’eclettica cultura derivante da anni di minuziosa ricerca e da un sottile British humor che la rendevano sofisticata e avant-garde.

“Si inventava parole in non si sa bene che lingua – prendeva una parola inglese per poi aggiungerci un finale un po’ latineggiante o un francesismo poi imbastardito con dell’italiano eccetera… per dare una parola dal suono atmosferico alle sue pagine, alla sua visione di quel mese. Un lavoro affascinante al quale a volte assistevo fingendo di partecipare non essendone all’altezza”. racconta il fotografo Bardo Fabiani in un’intervista su Vogue.

Cinque per un week-end breve, oppure nessuna.» rispondeva alla domanda «Con quante valigie parti, di solito?»

Tutto ciò che indossava e affermava era ponderato nei minimi dettagli per sfilare su un ideologico palcoscenico che poi altro non era che il suo personalissimo egotrip (anch’esso termine da lei coniato). E a proposito di egotrip, è proprio così che ha battezzato un pattern che lo stilista Karl Lagerfeld ha creato per Fendi, in cui i loro volti andavano a fondersi creando una stampa all – over.

È stata la musa per antonomasia dello stilista tedesco, che l’ha ritratta in centinaia di disegni ad acquerello, raccolti nel 1986 nel diario visuale Anna-chronique (Longanesi, ‘86), a lei dedicato. Inizia la sua carriera come traduttrice per Mondadori, diventa editor at large per Condé Nast negli anni ’70; fonda e dirige Vanity dall’81 all’83 (Condé Nast), progetto ed esperimento d’avanguardia incentrato sulle illustrazioni; collabora per anni come opinionista su Panorama.

Nel 1988 esordisce la sua rubrica ormai cult per Vogue “D.P. Doppie Pagine di Anna Piaggi”: un collage mensile di termini, concetti e immagini che illustravano le connessioni tra le creazioni stilistiche più diverse volto ad offrire un’attenta decifrazione di tutti i codici essenziali della moda, rivelando le tendenze dei brand nel corso degli anni. Una raccolta di questi articoli porterà, nel 1999, alla pubblicazione della raccolta Fashion-Algebra (Leonardo Arte). Milanese di nascita, Anna si è spenta il 7 agosto del 2012 nella sua casa di via del Cappuccio all’età di 81 anni, lasciando al mondo un’eredità culturale di inestimabile valore.