Baby Reindeer: i prigionieri dei ricordi

baby raindeer

Baby Reindeer è la nuova serie Netflix scritta, ideata e interpretata da Richard Gadd.

Poche storie sullo schermo intrigano a tal punto quando si parla di Stalking. Forse per la profondità dei personaggi, o perché, in questo caso, lo stalker è una donna, Baby Reindeer ci ha tenuti incollati al computer con la stessa intensità dell’arrivo delle mail inviate da Martha. Ma probabilmente, anche perché entriamo in empatia con Martha almeno quanto il protagonista: quando l’abbiamo vista seduta al bancone del bar, anche a noi è dispiaciuto un po’ per lei.

Una trama ricca e ben costruita attraverso i ricordi di Donny (Richard Gadd) che deve scrivere la sua denuncia, anche se quel foglio word continua a tornare bianco ogni volta che ci prova. La “piccola renna” ci racconta ogni dettaglio della sua storia intima e mentale nel modo più coinvolgente possibile: va per gradi, si fa scoprire passo per passo, accompagnandoci piano nel suo percorso di “rinascita”, che non è mai completo se si tratta di una vittima di abusi.

Una carta moschicida per tutti gli svitati

L’abuso ti fa diventare “una carta moschicida per tutti gli svitati che esistono, una ferita aperta pronta da annusare”, ammette il protagonista durante il suo struggente monologo, ed è lì che comprendiamo quanto non potremo mai capire davvero Donny. Così il comico di taglio phillipsiano, quel Joker che ride quando si trova in situazioni tormentate di tensione e sofferenza, ci avvicina e ci allontana da se stesso, soffocato dall’amore per l’odio che prova per la sua persona.

Una “persona” che non è più in grado di riconoscersi né di amarsi, in costante ricerca di approvazioni, e che trova questo conforto labile e disperato nell’incarnazione di un io che fa emergere la sua luce nel modo più contorto e distruttivo possibile: Martha (Jessica Gunning). Martha, la stalker da cui Donny è lusingato, di cui è ossessionato. La sua vita ricomincia con la Martha a cui offre il tè, muore con la Martha che lo perseguita, e riprende il battito con la Martha che ha denunciato e di cui deve scoprire il mistero.

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La fine è il punto di partenza

Una vittima di abusi non torna la persona di partenza, come la piccola Rosetta ne La Ciociara, e Donny ce lo dimostra proprio nel momento in cui avevamo sperato, almeno per un attimo, che avesse ritrovato la sua pace. E invece, la voce di Martha diventa il podcast della sua vita: ascoltandola, ride, si emoziona, piange, guarda la fermata dell’autobus, cerca spiegazioni, torna nella casa del suo carnefice, si siede in un bar ma non ha il portafoglio.

Quello che ci regala la serie è una riflessione costante e infinita, ma appagante e quasi fastidiosa su una realtà che nessuno vorrebbe vivere, in cui il sistema ti aiuta solo quando la minaccia è palese e tangibile, perché impegnato a capire come far funzionare una penna. In cui sognare di diventare qualcuno si paga al prezzo di sentirsi un nessuno. Una denuncia a una società bigotta che ti fa pensare di essere meno uomo quando qualcosa intacca la propria virilità: “tu mi avresti considerato meno uomo nella tua condizione?”, chiede il padre di Donny. E su questo si potrebbe scrivere un libro intero.