Raccontare una generazione: Il cinema come specchio del tempo

Come si racconta una generazione?

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La distinzione generazionale, legata al periodo storico, è apprezzata da molti per il senso di appartenenza che ne deriva. Ciascuno di noi, seppur in un gruppo composto da individui a sé stanti e diversi tra loro, si sente e vuole essere parte di qualcosa. Ad esempio, per la condivisione di un bagaglio culturale: dagli stessi gruppi punk e indie rock ascoltati dai millennials, alle serie tv guardate dalla Gen z.

Così, ogni persona appartenete a una determinata generazione si sente legato agli altri componenti del gruppo, se non per pensiero politico, almeno per tutto ciò che, anche a livello umano, è condizionato dagli eventi storici, sociali, tecnologici e culturali. Il senso di appartenenza, quindi, assume significato nella condivisione delle stesse emozioni, delle stesse ambizioni, dello stesso disorientamento. A rafforzare questo senso di appartenenza, intervengono le rappresentazioni di esperienze condivise, come le canzoni, i libri o, soprattutto, il cinema.

Ci sono film che mettono in scena stili di vita, luoghi comuni, abitudini, dress code, musiche e sensazioni provate da quella generazione in quel periodo di tempo. I film ci aiutano capire meglio la mentalità e la cultura della generazione che li ha prodotti e consumati. Senza dimenticare, poi, che a tutti piace vedersi raccontati sul grande schermo.

ok Boomer (1946-1964)

Il laureato (1967) – Mike Nichols

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Ambientato negli anni ’60, periodo di grande fermento sociale e politico, avverte e in qualche modo anticipa i fermenti giovanili di ribellione, in un’epoca di contestazione contro le norme tradizionali, di lotte per i diritti civili e di sperimentazione culturale. Una ricerca di autenticità riflessa nel protagonista, Benjamin Braddock (Dustin Hoffman), che rappresenta bene quel disagio di fronte alle aspettative conformiste della società. Benjamin è insoddisfatto del suo futuro prestabilito e cerca un senso nella vita al di fuori delle convenzioni sociali.

In una società che vive il sesso come un tabù, la sua ricerca sfocia prima nella relazione sessuale con la signora Robinson, arrivando a trovare finalmente quel senso nell’idealismo della giovane Elaine Robinson.  Il film, inoltre, mette in scena il conflitto tra Benjamin e i suoi genitori rigidi e conservatori che rappresentano la generazione precedente. La colonna sonora riflette il tempo dell’ambientazione con i titoli di testa aperti da The Sound of Silence del 1964 e l’indimenticabile Mrs Robinson scritta apposta per la pellicola.

Generazione X (1965-1980) storie per una cultura accelerata

Risky Buisness (1983) – Paul Brickman

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Individualismo, intraprendenza e libero mercato: una realtà politica che si fa strada dentro il personaggio principale. Joel (Tom Cruise) prende in mano la propria vita e compie scelte rischiose per raggiungere i propri obiettivi, sfidando le aspettative dei suoi genitori e della società in generale. Un eco rimbombante della generazione X, disillusa dalle istituzioni tradizionali, ma soprattutto alla ricerca della sua libertà e indipendenza: gli “adulti emergenti”, rappresentati dal viaggio di esplorazione di Joel di se stesso.

Tutto catapultato dentro una società materialista e consumista, in cui l’ossessione di possedere beni è l’unica religione. Rock e New wave riscaldano l’atmosfera spensierata che ci regala il film, contrastata da quell’inquietudine sottostante e costante per il futuro che, per la “generazione invisibile”, era inevitabilmente condizionata dai problemi globali, quali la minaccia nucleare e l’incertezza economica.

Millennials (1981-1996): La nuova “Generazione perduta”

L’odio (1995) – Mathieu Kassovitz

Perché Kassovitz nell’Odio ha detto una cazzata: il problema invece è proprio la caduta, non l’atterraggio” (Vagnoli, 2024)

Hubert racconta la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Man mano che cadendo passa da un piano all’altro, per farsi coraggio l’uomo si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene”. Per il personaggio di Hubert e per il regista Kassovitz, il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. È facile cadere, ma è molto più difficile rialzarsi e ricominciare. Eppure, la sensazione di precipitare, trascina i protagonisti nella ribellione, nell’estraniamento dalla società, nella volontà di sfuggire a quel destino disastroso e inevitabile. Per questo, forse, il problema è proprio la caduta.

Così ha inizio il racconto di una giornata nella periferia parigina attraverso gli occhi di Vinz (Vincent Cassel), Said e Hubert. Uscito nel 1995, è un ritratto vivido della realtà di molti giovani francesi negli anni ’90, caratterizzata da disoccupazione, disillusione e alienazione. Ecco da dove scaturisce la rabbia violenta e aggressiva dei protagonisti, un gruppo di giovani di periferia esclusi dalla società e privi di opportunità. La storia di una generazione alla ricerca di un’identità e di un senso di appartenenza e, pur di trovarlo si sperimentano stili di vita diversi, ci si unisce a bande. Pur di trovare una compensazione alla perdita della propria voce nel mondo. In questa voce si riunisce la generazione Y, che è cresciuta in un mondo in rapido cambiamento e ha dovuto trovare la propria strada in una società sempre più individualista.

Gen Z: iGeneration (1997-2012)

Boyhood (2014) – Richard Linklater

Coldplay alla radio, Dragonball in tv ed Harry Potter letto dalla propria mamma prima di andare a dormire. Già dai titoli di testa si respirano i primi anni 2000 che, per un bambino di 6 anni, sono il parco giochi dell’infanzia: certo, per chi riesce a godersela. Con le difficoltà che percorrono la sua giovane vita, Mason (Ellar Coltrane) esprime la riservatezza, la ribellione auto-repressa, l’incapacità di agire e quella frustrazione di fronte ai cambiamenti epocali che sfuggono al controllo. Il fatto che non si tratti di una mente spensierata, lo si percepisce dal modo in cui Mason guarda il cielo. Questa è la Gen Z, almeno quella nata negli ultimi anni del ‘900, di cui spesso non si parla. Ma, con un’attenzione scrupolosa ai dettagli, il film mette in scena nell’arco temporale di 12 anni di vita, la difficoltà di trovare un posto nel mondo, l’ansia per il futuro e il desiderio costante di fare la differenza.

Mason si confronta con problemi come il bullismo, la disoccupazione dei genitori e la crisi economica, e allo stesso tempo vive quella libertà e attenzione ai problemi sociali che inizia a farsi strada tra i giovani. Pensa che forse sarebbe bello vivere rapporti autentici al di là di facebook, e che forse andare al collage non rappresenterà la svolta nella sua vita. Quello che è sicuro, è che ogni momento ha un valore, così lo hanno le relazioni, perché vissute con intensità e forse con un po’ troppa razionalità. Boyhood non segue una trama tradizionale, ma piuttosto una serie di momenti e riflessioni che scorrono nel tempo. Un approccio narrativo che rispecchia il modo in cui la Generazione Z consuma i media e vive la vita, in un mondo frenetico e pieno di stimoli.

Film simboli di intere generazioni

Esempi di come il cinema interpreti il vissuto quotidiano, la vera essenza di una società e, in questo caso, di una generazione. Per essere precisi, individuarne solo quattro è riduttivo: esistono film che, seppur ambientati in un periodo storico circoscritto sono “sempreverdi”. Ma la verità, in questo contesto, è anche che, quello che unisce una generazione, non è tanto la rappresentazione di se stessi, quanto il simbolismo dietro i film che hanno segnato la propria infanzia, adolescenza, maturità. Da il Tempo delle mele a Star Wars per i boomer o per la Gen x, da Dirty dancing a Matrix per Gen x e y, da Mamma ho perso l’aereo ad Harry Potter e High school musical per Gen y e Z.