“L’Arte femminista”: breve storia di un movimento contro il pregiudizio

“Donne, arte e femminismo” è un trinomio che fa sempre parlare tanto, ma c’è da considerare che Non tutte le donne artiste sono femministe. Di sicuro, il movimento artistico a cui è stata attribuita l’etichetta di “Arte Femminista” ha come protagoniste solo le donne

Bisogna tornare indietro agli anni Sessanta quando si creano, con fervore e scandalo, le basi per poter mettere in discussione, attraverso le opere d’arte, la cultura che vede il genere femminile legata al patriarcato, ai lavori domestici, alla famiglia, all’immagine del corpo, alla maternità.

arte femminista

Sono le artiste come Evelyne Axell e Marisol Escobar che, con lo stile della Pop Art, propongono un tipo di linguaggio visivo esplicito, dove la passività attribuita al genere donna si ribalta e diventa rappresentazione della soggettività attiva e consapevole.

Women Artists in Revolution

Con il 1968, un anno spartiacque, i cambiamenti epistemologici, scientifici, concettuali e culturali risuonano in tutto il mondo e anche in quello dell’arte. Infatti, nel 1969 si forma, a New York, il primo strutturato movimento artistico femminista, “Women Artists in Revolution (WAR)”, che apre la strada alla cosiddetta “seconda ondata del movimento artistico femminista” del decennio successivo.

Con gli anni Settanta tutto si intensifica: aumenta il numero delle donne artiste che vogliono comunicare come il corpo della donna sia soggetto. Crescono i movimenti riuniti in gruppi; si ampliano le tecniche, le scelte dei materiali usati, i modi di fare arte e sempre di più si punta a decostruire la mistificazione e la censura.

arte femminista
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Emblematica dell’Arte femminista è l’istallazione di Judy Chicago intitolata The Dinner Party dove celebra l’erotismo e la fertilità femminile, generalmente utilizzati per le costruzioni patriarcali. Sul pavimento si leggono 999 nomi di donne importanti nella storia e ad alcune di loro è riservato un piatto, su un tavolo triangolare, con esplicito riferimento alla vulva, elemento di distinzione primario dal sesso maschile secondo l’artista.

Guerrilla Girls: l’abito non fa il monaco

Con gli Anni Ottanta ci si trova difronte a una molteplicità di atteggiamenti che concorrono a voler puntare il dito contro ogni ingiustizia. Le Guerrilla Girls si fanno portavoce, tramite una solida organizzazione e la pubblicazione di una rivista, del modo dire “l’abito non fa il monaco“. Così annullano la loro identità con maschere da scimmia denunciando le discriminazioni razziali e non solo, anche quelle legate ai mondi dell’arte e del lavoro distinti per genere.

Con un potente linguaggio grafico, cartellonistico, le Guerrilla Girls, si mostrano con il tipico abito da ufficio di quegli anni: giacca con spalline decisamente avvitata per fa risaltare i fianchi, minigonna e tacchi alti. Nella stessa immagine, però, una di loro veste un abito maschile per evidenziare che l’outfit non determina le qualità dei lavoratori e delle lavoratrici.

Le “cattive ragazze dell’arte”, così identificate al tempo, si erano esposte, nel 1989, con un l’atro messaggio dal forte impatto: Le donne devono essere nude per entrare nei Musei?” (fig. 4), attaccando il sistema selettivo di esposizione delle opere nei musei, in cui il numero delle artiste donne restava sempre basso o nullo.

Marina Abramovic: Imponderabilia

Con un messaggio differente, qualche anno prima Marina Abramovic, donna ma non aderente al movimento femminista, c’era entrata davvero nuda nel museo. Con la performance Imponderabilia realizzata insieme ad Ulai, costringeva i visitatori che volevano entrare nel museo a passare accanto ai loro corpi, creando instabilità e indecisione nel pubblico. 

Due artisti, un uomo e una donna, identici nella loro naturalità e creatività si offrono all’arte e si ergono ad ingresso di un mondo di conoscenza nel quale non c’è bisogno di alcuna distinzione!