10 MINUTI: IL BISOGNO DI REINVENTARSI UN MONDO

Dieci minuti è un film del 2024 diretto da Maria Sole Tognazzi.

La protagonista di questa storia, tratta da un romanzo di Chiara Gamberale, è Bianca (interpretata da Barbara Ronchi), una giovane giornalista sicula trapiantata a Roma, con la penna da scrittrice, persa dentro una voragine interiore che l’anestetizza rispetto alla vita. Il suo è un disagio psichico radicato nel passato, per motivazioni recondite, che implode quando suo marito Niccolò la lascia dopo 18 anni, stanco di doverla supportare senza essere ripagato con un’equa considerazione.

Nei giorni dell’abbandono, Bianca tenta il suicidio con un cocktail di farmaci e dopo il ricovero in ospedale inizia un percorso con la dottoressa Brabanti (Margherita Buy), una psichiatra e psicoterapeuta. Seguendo un approccio terapeutico cognitivista-comportamentale, la dottoressa esorta Bianca a rompere degli schemi mentali di cui è prigioniera affidandole un compito: dedicare, ogni settimana, dieci minuti a qualcosa che non abbia mai osato fare.

Nonostante la perplessità e la goffaggine nei primi tentativi di uscire dal suo guscio, Bianca cerca di seguire la traccia che le è stata delineata, grazie anche al supporto di sua sorella Jasmine (Fotinì Peluso) nata da una relazione extraconiugale di suo padre e conosciuta in ritardo durante la sua degenza ospedaliera.

Ognuno dei dieci minuti prefissati conducono Bianca non solo in situazioni a limite del grottesco, come picchiare un amante occasionale accusandolo di adulterio dopo averci fatto sesso, ma anche a momenti contornati di verità scomode e nuove consapevolezze. Grazie a una rete tessuta sommessamente dalla dottoressa Brabanti, costituita da parenti e amici, Bianca riesce a portare a termine la prova affidatagli alla luce della speranza di risalire dall’abisso in cui è precipitata.

LO ZAMPINO FREUDIANO

Il perno della storia è l’acquisizione da parte di Bianca del Principio di Realtà teorizzato da Freud, ossia la capacità di considerare le conseguenze delle proprie azioni, di accettare la realtà oggettiva e adattarsi ad essa. All’inizio, lei è diametralmente opposta a questa visione: da promettente scrittrice ha creato nella sua testa una dimensione romanzata della vita, con figure idealizzate a cui ancorarsi che vivono dinamiche prive di fughe reali.

Io ti guardo sempre, tu non mi guardi mai” è il leitmotiv della vicenda, espressione dello sguardo limitato di Bianca, appannato dalla distrazione di una spettatrice di un mondo dal quale rifugge, perché di fatto le è spaventosamente ignoto. La sua cecità si traduce in un incosciente solipsismo, una solida corazza che calamita tutte le attenzioni senza risparmiarle per gli altri. Ed ecco che la sfida dei 10 minuti assurge a catarsi: Bianca acquisisce la consapevolezza di poter procedere da sola con meno timore della realtà e maggior attenzione per ciò che la circonda.

UN FILM FEMMINILE MA NON FEMMINISTA

La sceneggiatura scritta a quattro mani, da Maria Sole Tognazzi e Francesca Archibugi il cui tocco è riconoscibile nei momenti più intimistici, segue una linearità che rende un po’ tutto prevedibile, come se alla base ci fosse un’idea di narrazione limpida, scevra di artifizi o voli pindarici che possano inutilmente appesantire una tematica di per sé complessa. La mancanza di un effetto sorpresa può anche essere una stonatura accettabile, secondo i gusti rispettabili di ciascun spettatore, tranne i flashback fluttuanti qua e là senza una netta demarcazione che a tratti possono confondere.

La prova attoriale di Barbara Ronchi, già apprezzata interprete del film “Rapito” di Marco Bellocchio, è convincente nel suo ben delineato disorientamento psicologico, trasmesso con la stessa leggerezza di chi è estraniato dal mondo reale. Le altre due figure femminili che danzano intorno alla protagonista, per quanto necessarie alla costruzione della storia, sono prive di uno spessore coinvolgente: la dottoressa Brabanti, una Margherita Buy mai sopra le righe e simpaticamente spesso stereotipata, appare di difficile focalizzazione, passando da un’iniziale rigidità e schiettezza professionale a un’inspiegabile informalità empatica; mentre Jasmine, interpretata da Fotinì Peluso conosciuta per la serie Netflix “Tutto chiede salvezza”, è il ritratto fresco e libertino  di una sorellastra che vive di slanci e impulsi tipici della giovinezza, che certamente non elude il concetto stesso di ordinarietà.

A parte qualche pecca di caratterizzazione, è interessante riconoscere come questa storia scritta, diretta e interpretata in maggior parte da donne, non faccia della protagonista né un’eroina e né una martire, ma semplicemente l’emblema di un essere umano imprigionato nei meandri del proprio animo, perché tutti, donne e uomini, possono annegare nel magma delle disfunzioni psichiche. C’è un fluido equilibrio tra la partecipazione emotiva alla condizione patologica in cui riversa Bianca e la comprensione salvifica di suo marito che, nonostante l’abbandono, diventa uno dei personaggi per cui tifare.

Il film scorre come un fiume dai riflessi di un blu cobalto che è sinonimo di pace e tranquillità, lo stesso colore dei maglioncini di Bianca e delle pareti della sua casa.